Vicissitudini giudiziarie

Le vicissitudini giudiziarie
Anno 2000. In primavera il capogruppo di Alleanza Nazionale al Consiglio Comunale di Gubbio presenta un’interpellanza che chiede un qualche controllo sulla gestione economica della Comunità; sembrerebbe infatti che la gestione di un certo progetto (il “Progetto Atena”), fatto in convenzione con il Ministero del Lavoro, presenti grossi buchi neri. Tutti i gruppi Consiliari respingono l’interpellanza di Alleanza Nazionale; una raccolta di firme a favore di don Angelo, promossa da alcuni professionisti già suoi alunni al Liceo “Mazzatinti”, mette insieme un migliaio di persone il primo giorno; poi però lo stesso don Angelo prega quegli amici di desistere.
Non emergerà nulla di penalmente e/o civilmente rilevante.

Eppure don Angelo, come presidente, una colpa ce l’ha, e grossa! Dietro lo zelo con il quale alcuni piccoli ex operatori della Comunità guidano alla caserma dei Carabinieri schiere di “testimoni” c’è un fatto di enorme gravità: da quando (1996) sono morti Ida Filipponi e Doretto Aquino il Centro Lavoro Cultura (fino al 1998) Comunità di Capodarco dell’Umbria (dal 1998) colpevolmente è stato lasciato andare allo sbando; i potenziali micro/leaders, tutti impegnati nelle proprie piccole rivendicazioni personali, non erano assolutamente in grado di assicurare né l’alto profilo profetico che aveva garantito Ida Filipponi, ad onta del cancro che per anni se l’era divorata, né la buona gestione che aveva garantito Aquino Doretto, ad onta dei 180 kg della sua mole fisica, dai quali nessuno mai e poi mai aveva inteso provenire il benché minimo cattivo odore; oltretutto Doretto a Gubbio aveva un’impressionante serie di amici, soprattutto tra i “tipi” che in città come la nostra emergono a titolo di campioni di simpatia.

Chi glielo avrebbe detto, a don Angelo, quando aprì la Comunità di S. Girolamo, che proprio questo edificio, il Tribunale di Perugia, sarebbe stato un punto fisso di riferimento dei suoi pensieri, per ben sette anni!?

Chi glielo avrebbe detto, a don Angelo, quando aprì la Comunità di S. Girolamo, che proprio questo edificio, il Tribunale di Perugia, sarebbe stato un punto fisso di riferimento dei suoi pensieri, per ben sette anni !?!

Gli ex operatori che divennero abituées della caserma di Via Leonardo da Vinci erano spalleggiati da questi micro/leaders, che probabilmente pensavano di risolvere per questa strada i problemi della Comunità non meno che i propri. La processione fu davvero lunga. E risibile. A tempo debito noi imputati (don Angelo, Antonietta Botta, Sandro Lombardini e Antonella Perugini) abbiamo chiesto copia di tutte le deposizioni verbalizzate dai CC. Accanto a una piccola minoranza di affermazioni che aprono spiragli significativi, anche se giuridicamente irrilevanti, la stragrande maggioranza di quelle deposizioni sono di uno squallore totale.
Il problema di gran lunga più serio in quei giorni era quello dei rapporti difficili tra i Comunitari di Gubbio e i Comunitari di Perugia, che facevano capo alla forte personalità di Francesca Bondì, che era stata Presidente del Centro Lavoro Cultura dal 1986 al 1998, anno del cambio del nome in quello di “Comunità di Capodarco dell’Umbria”, e che don Angelo in ogni circostanza citava come uno dei frutti più significativi del percorso comunitario (“Sei venuta da noi che non sapevi prendere l’autobus, oggi reggi egregiamente la Comunità”). Si moltiplicarono, da una parte e dall’altra, gli irrigidimenti, i “te lo faccio vedere io”; soffiava sul fuoco con particolare impegno il Presidente della Comunità di Capodarco di Roma, dr. Marco Veronesi, che era stato ottimo docente alle due tranches della SUEOC, ma aveva mantenuto rapporti solo con una piccola parte dei Comunitari dell’Umbria, quella più ostile a don Angelo e ai suoi.

Domenica 3 giugno 2000, nel pomeriggio, venne a Gubbio il Presidente Nazionale don Vinicio Albanesi. Appuntamento nel Gruppo Famiglia “Pierfrancesco, a S. Marco. Un’oretta prima che don Vinicio arrivasse a S. Marco si presentarono, in visita d’amicizia, la prof. Rossella Regni, docente al Liceo Alessi di Perugia, alunna brillantissima (25 anni prima!) e carissima a don Angelo, e suo marito, l’Avv. Carlo Pacelli, recentemente assurto ad autentico principe del Foro di Perugia, per aver ribaltato in appello una sentenza di primo grado: da ergastolo ad assoluzione. Chiacchierando del più e del meno chiedemmo loro Se potevano fermarsi all’imminente incontro con don Vinicio, a titolo di pura curiosità. Accettarono, e da quando don Vinicio arrivò Carlo, a tutti i livelli e senza mai nemmeno uno straccio di compenso, di rimborso macchina, (la solfa sarebbe durata 7 anni 7), assunse la difesa di don Angelo e di due dei tre che avrebbero dovuto accompagnarlo sul banco degli imputati: il Direttore Medico della Comunità dr.ssa Antonia Botta e il Tesoriere Rag. Antonella Perugini Scavizzi, mentre il quarto imputato, il Direttore Amministrativo dr. Sandro Lombardini, scelse di farsi difendere da un altro valente avvocato, che è anche socio della Comunità: il giovane dr. Fabio Antonioli.
“Assunse la difesa”, perché Don Vinicio non portava nessuna proposta di conciliazione, ma era latore di una …scomunica: il Consiglio Nazionale della Comunità di Capodarco, avvalendosi di un preciso articolo dello Statuto, aveva deciso di commissariare la Comunità di Capodarco dell’Umbria, affidandone la gestione a qualche proprio autorevole socio; qualcosa del genere era accaduto alla Comunità La Buona Novella da Fabriano qualche anno prima, e i due Commissari scelti dal Consiglio Nazionale erano stati allora la dr. Botta e don Angelo; essi in un paio d’anni avevano rimesso in carreggiata quella Comunità, presieduta tra l’altro da un comunitario di primissimo piano, il compianto don Graziano Polini.

A questo punto, il colpo di scena: Lombardini dichiara che la Comunità Nazionale non ha più nessun potere del genere sulla Comunità di Capodarco dell’Umbria, che da quando ha assunto questo nome ha anche chiesto e ottenuto la qualifica di ONLUS, il che comporta la rescissione di ogni legame istituzionale con altre realtà del comparto sociale. Don Vinicio. “Mi avete fregato”. Don Angelo garantisce che sicuramente è stato lui a firmare tutte le carte necessarie a compiere quel passo, ma che non aveva allora e non ha adesso alcuna coscienza di questo tipo di conseguenze.
Qualche tempo dopo, nel corso di una drammatica seduta del Consiglio Nazionale, a Capodarco di Fermo, don Angelo lascia la seduta prima che arrivi l’ictus, estremamente offeso perché viene messa in forse la sua sincerità, sia in ordine al fatto che la presenza dell’Avv. Pacelli (al quale ha chiesto esplicitamente di essere presente alla seduta del CN) fosse del tutto casuale quel 3 giugno in cui don Vinicio arrivò a Gubbio/S. Marco, sia in ordine alla sua totale ignoranza circa l’avvenuto distacco giuridico fra Capodarco Nazionale e Capodarco dell’Umbria.
Sancita la rottura, nasce la Comunità di Capodarco di Perugia.
E a Perugia tra i non addetti ai lavori, nessuno capisce il perché di quella scissione. La gente ne è disorientata e dispiaciuta. Il parroco di Prepo, don Giuseppe Gioia, compagno di studi di don Angelo, assume un atteggiamento da Giudizio Universale di Michelangelo; Valentina Locchi, la figlia del Sindaco di Perugia, che è la non vedente che ha spopolato in una trasmissione TV di successo, il giorno in cui la CdCdU tenta il suo rilancio a Prepo, coinvolgendo fra l’altro moltissime persone, quando sa che la promotrice di quell’iniziativa non è la comunità della sua amica Francesca Bondì, rifiuta di prendervi parte con lo strumento che essa suona assai bene; il prolungarsi della soluzione della sede, sia per la Comunità di Capodarco dell’Umbria che per la Comunità di Capodarco di Perugia, induce i due massimi contributori di quell’iniziativa a chiedere indietro i propri soldi (20.000 € a testa), anche se con l’impegno a ri/depositarli quando la questione sarà risolta…
Intanto il processo è andato avanti. Don Angelo è stato attento a che nessuno prendesse l’iniziativa di contattare questo o quel giudice, questa o quella “personalità eccellente e amica”: non vuole essere tra gli innocenti del tipo di Silvio Berlusconi (si licet magna componere parvis), esige che la giustizia faccia il suo corso senza interferenze di sorta.

L’accusa di non aver distribuito ai circa 11.000 Eugubini previsti il fascicolo che, su mandato del Ministero del Lavoro, avevamo fatto stampare, cade di fronte alle circa 11.000 ricevute che vengono consegnate in diversi grossi scatoloni alla Procura della Repubblica. La verifica da parte dei CC delle “accuse” mosse alla Comunità dà sempre risultati inconsistenti.
E così, nel 2003, la Corte d’Assise assolve don Angelo M. Fanucci, la dr.ssa Antonia Botta, il dr. Sandro Lombardini e la rag. Antonella Perugini Scavizzi dal reato contestato loro, per non aver commesso il fatto.
Ma inopinatamente il Pubblico Ministero fa appello contro questa sentenza.
Le cose vanno avanti stancamente. La vicenda si conclude solo il 3 aprile 2007, e dunque dopo 7 lunghi, lunghissimi anni. Convocati dalla Corte d’Appello, i nostri eroi si presentano con i loro due ottimi Avvocati, Pacelli e Antonioli, ognuno con la borsa gonfia di documentazione, determinati a far finire quello strazio.
Ma lo strazio finisce da solo, in un minuto e mezzo. È il 3 aprile del 2007. Il Pubblico Ministero (che fisicamente non è quello che aveva interposto appello contro l’assoluzione in assise, quattro anni prima!) prende la parola, e, a nome dell’ufficio che rappresenta e del collega che oggi non c’è, si scusa con don Angelo e i suoi, che – dice – in qualunque altro posto del mondo dovrebbero trovarsi, tranne che in un’aula penale (testuale), e chiede al Presidente della Corte d’Appello di assolverli perché il fatto non sussiste. Nessuno se lo poteva aspettare. Il pranzo da Cesarino, in Piazza Quattro Novembre, è ottimo e abbondante.

Ultimo “sospeso”: anni or sono un quotidiano nazionale, nella sua redazione locale, ha insinuato che don Angelo fosse un ladro. Don Angelo ha fatto causa al quotidiano, chiedendo un miliardo di lire di risarcimento. Il Tribunale ha dichiarato ammissibile la richiesta. La relativa è ancora pendente.