La conversione
L’anno cruciale nella vita del Fanucci è il 1971: “L’anno della mia conversione”: “conversione” a quel cristianesimo come liberazione integrale dell’uomo che il Concilio ci ha affidato. Lo spiritualismo, cioè la riduzione dell’esperienza di fede ad “avventura dell’anima individuale” è la morte dl Cristianesimo. L’anima non esiste, esiste l’uomo, anima e corpo, ideali e bisogni, slanci ci e porcherie, persona e comunità. . Tutto l’uomo va salvato, tutti gli uomini, il tutto di ogni uomo. Se no sprigiona energia in questa direzione, la religione è davvero l’oppio dei popoli.
Prima della conversione
All’approssimarsi del decimo anno di sacerdozio cresce in lui una vaga stanchezza per un impegno sacerdotale che gli appare un po’ troppo spiritualista e, parallelamente, il desiderio di poter lavorare in una dimensione di vita cristiana che, tra le tante possibili, incida in presa diretta su realtà concrete, sia di persone singole ma concrete, sia della concreta società in cui vive.
Su questo sfondo
• cresce il gusto della provocazione;
• cresce la passione per il giornalismo.
Le provocazioni
Nel clima del Sessantotto la provocazione per lui e i suoi ragazzi del Movimento Studenti ha un sapore acre molto accattivante. Nel 1970, quando la Colacem muove i primi passi di quel cammino che la porteranno ad inserirsi tra i primissimi gruppi cementieri d’Italia, i suoi studenti chiedono a don Angelo il gesto clamoroso, e don Angelo acconsente.
Si dà per scontato che la Colacem non si comporta del tutto bene nei confronti dei suoi dipendenti e don Angelo, ad onta dell’amicizia che lo ha legato in anni lontani a Franco, compagno di studi alla scuola media del Seminario Vescovile, ad onta dell’amicizia che lo ha legato appena l’altro ieri a Carlo, Vicepresidente del Movimento Studenti quando Presidente ne era Giambaldo Travesini, tira fuori dalla naftalina la veste talare dismessa anni prima e organizza con i “suoi” ragazzi il picchettaggio ai cancelli della Colacem a Ghigiano, invitando allo sciopero. Faranno finta di non ricordarsene i Fratelli Colaiacovo quando, poco dopo, con l’audacia del semplice e il candore del sempliciotto, don Angelo comincerà a chiedere cemento, gratuitamente, a 15 quintali per volta, prima per la comunità La Buona Novella di Fabriano, poi per la Comunità di S. Girolamo. Ma già nel 1969 il Ministro dei Beni Culturali Pier Luigi Romita conferisce la Medaglia d’oro per la conservazione dei centri storici all’Amministrazione Socialcomunista di Gubbio, e il Movimento Studenti, con Tonino Lanuti in testa, organizza in contemporanea, occupando “le loggette” della centralissima Piazza Oderisi, una mostra fotografica dal titolo significativo: L’altra faccia della medaglia; la mostra, foto e didascalie, illustra i presunti abusi edilizi maturati in quegli anni.
La pubblicistica
Da Assistente Ecclesiastico del Movimento Studenti Eugubino, don Angelo assume la responsabilità deIl Bertoldo, il giornale che il Movimento pubblica due volte all’anno, ed è giusto che sia così, che a rischiare sia il prete e non i ragazzi, perché il giornale è a rischio di denuncia: anche se contiene articoli molto impegnati sul piano vagamente culturale o anche specificamente religioso, è atteso dalla gente di Gubbio soprattutto per le tante (troppe?) battute su questo o quel personaggio emergente, e le querele sono sempre all’orizzonte: un solo numero ne collezionerà ben 6 (sei).
Il giornale viene venduto, con il sovrapprezzo che le circostanze suggeriscono, in una sola mattinata, girando per Gubbio un anno con un carrettino attaccato ad un somaro, un altro anno con una FIAT topolino dipinta di rosa con sul muso la bocca di una cane pronto a mordere, un altro anno ancora con una “edicola mobile”: una casetta in legno giusta per due persone, con sul davanti uno sportello da edicola, tutta coperta di frammenti di stampa assortita incollati fino a coprirla interamente, e sul davanti una grande scritta: “Ogni riferimento a persone e cose è puramente VOLUTO”.
Nel 1970 si iscrive all’albo dei giornalisti pubblicisti. Assume la direzione di diversi periodici pubblicati da piccoli gruppi, in Sardegna e in Lombardia (ad Inzago (MI), il periodico “Demos” viene tuttora pubblicato).
In vista del 20 settembre, a cento anni dalla presa di Porta Pia, è tra i fondatori del neonato Il Buratto (in Toscana: il setaccio, la staccia), mensile di un gruppo di cattolici democratici, quasi tutti laureati o universitari provenienti dal Movimento Studenti, un foglio che anni dopo, dopo l’uscita di don Angelo dalla direzione, diverrà l’organo umbro dei Cristiani per il Socialismo. Il primo fondo s’intitola Cara, devota vecchietta; numerosi gli obiettivi polemici che, nel clima del post concilio tenuto vivo con grande impegno, il foglio mensile assume. Tra questi obbiettivi la costruzione dell’Aula Paolo VI per le udienze pontificie. L’articolo Sei miliardi per vedere il papa è a firma di P. B.; l’articolo era fortemente critico del preventivo di spesa di quello splendido manufatto progettato da Pier Luigi Nervi, però chi fosse P.B. non era dato saperlo; a questo punto un gruppetto di confratelli eugubini s’incarica di far sapere alla Segreteria di Stato che P. B. è in realtà don Pietro Bottaccioli, parroco di S. Martino in S. Domenico e anima nera di quell’altro prete matto che con i suoi giovanotti contestatori sta distruggendo la Chiesa Eugubina.
Lo “scherzo da prete” di questi confratelli, pur sempre amatissimi, sicuramente costerà al futuro Vescovo Bottaccioli un ritardo di dieci anni nell’ascesa alla Cattedra di S. Ubaldo: verrà consacrato Vescovo dieci anni dopo i suoi confratelli del Centro Pastorale Umbro (Chiaretti a Ripatransone, Chiarinelli ad Aversa,…); a don Angelo non costerà nulla, perché la Segreteria di Stato della Santa Sede ha già messo insieme a un dossier alto così. Niente di persecutorio, solo la saggia precauzione di tenere lontano da posti di responsabilità ecclesiale chi -francamente- non avrebbe l’equilibrio per gestire quelle responsabilità.
Nel 1975 fonda e dirige IL LATO UMANO, periodico del Centro Lavoro Cultura, poi Comunità di Capodarco dell’Umbria, che si pubblica tuttora. Per un certo periodo il giornale, con i caratteristici caratteri tipografici del titolo, si fonde con Partecipazione, la rivista della Comunità Nazionale di Capodarco: nella foto lo mostrano al lettore Dino Cuccaro, il titolare del motorino per disabili che quotidianamente lo porta a Via Cairoli, a ritirare la posta della CdCdU, e Marco Rufoloni, che è stato a lungo “Operatore di Condivisione” dentro S. Girolamo, a volte con risultati egregi: poi è passato a lavorare altrove, sempre nel sociale.
Con gli anni si è fatta sempre più frequente la presenza di don Fanucci sulla stampa e sulla TV locali, sugli argomenti più diversi.
Sul piano nazionale ha preso parte in TV a due trasmissioni RAI in prima serata; notevole quella prima puntata che inaugurò la serie televisiva di Sergio Zavoli, Viaggio intorno all’uomo.
Dalla prima metà degli anni ’80 tiene una rubrica di 30 righe su La Voce, il settimanale dei Vescovi Umbri, prima con il titolo La saliera, poi con il titolo Abat jour; pare che l’indice di gradimento da parte dei (non facili) lettori sia decisamente alto.
L’INCONTRO CON CAPODARCO
1970. Da tempo è invalsa la moda dei campi di lavoro estivo. I giovani studenti lo dicono sul serio, sull’onda di quel “Sessantotto minore” che rappresentò il meglio delle conquiste di quegli anni: “Perché mai i nostri coetanei che lavorano nelle fabbriche o negli uffici dovrebbero avere solo un mese di ferie, mentre noi ne abbiamo tre/quattro?”; il campo di lavoro estivo appare un mezzo idoneo per colmare questa lacuna.
Erano in cerca di un campo di lavoro di alto profilo ideale e soprattutto duro, come lo saranno quelli della Comunità Agricola di Colfiorito di Colonnata.
A primavera è uscito, su Il Corriere della Sera “Lavorano per sentirsi vivi”, un articolo a firma di Giuliano Zincone, già grande come giornalista, che ha passato qualche giorno a contatto diretto con quella “Comunità di Capodarco” così forte, così anomala, e ne ha fatto un relazione entusiasta, ben al di là della modestia del titolo.
E così don Angelo, il 30 giugno 1970, scende da Fermo verso Capodarco e prende il primo contatto con Casa Papa Giovanni, l’effervescente comunità fondata quattro anni prima da don Franco Monterubbianesi.

Presto si stringerà un patto di forte amicizia sacerdotale e comunitaria, tra loro due e con don Vinicio Albanesi: quella fraternità sacerdotale e comunitaria s’incrinerà, perché ometti e donnine piccoli così tenteranno di scalzarla, tra il 2000 e il 2007, durante i sette anni di vicissitudini giudiziarie, poi però tornerà incondizionata e piena.
Don Angelo resta affascinato dallo slancio con il quale vengono predicate e dalla coerenza con la quale vengono praticate la condivisione della vita fra disabili e sani e l’autogestione della vita comune; ne rimane conquistato. Lì tutti lavorano, ognuno si prende la propria responsabilità, anche Giovanni Gagliardi, che una frattura gravissima alla colonna vertebrale costringe a vivere in lettiga, a pancia sotto, ma questo non gli impedisce di lavorare le sue otto ore al giorno.
“Casa Papa Giovanni” è il nome dell’edificio che ospita la comunità (e accanto allo stipite sinistro della porta c’è un Cartello: “Questa è la casa di tutti, entrate pure!”); la Comunità è un’Associazione canonicamente eretta, che poi anche lo Stato ha riconosciuto, come Centro Comunitario Gesù Risorto: mai nome fu più giusto, perché lì la Resurrezione, mistero trascendente la storia, viene continuamente … tirata dentro la vita quotidiana, ad animare la tensione verso il più e verso il meglio che disabili e sani vivono insieme, come individui e come comunità di vita quotidiana.
Capodarco è un piccolo paese all’inizio della Provincia di Ascoli Piceno, a metà strada tra la collina di Fermo e il mare di Porto S. Giorgio. La bella e fatiscente Villa Piccolomini è stata messa a disposizione dal Centro Turistico Giovanile del Prof. Enrico Dossi, che, quando Capodarco aprirà una sua casa a Gubbio, vorrà farne parte anche lui.
Don Franco Monterubbianesi, prete fermano che ha perso anche lui la testa per il Concilio, ex compagno di seminario di Camillo Ruini al Collegio Capranica, l’ha ribattezzata “Casa Papa Giovanni” e nel Natale del 1966 è andato a viverci con una quindicina di handicappati gravissimi.
Hanno sopravvissuto per quattro anni alla bell’e meglio, sono cresciuti di numero molto rapidamente, sia i disabili che i sani, finché nel 1969 i contatti con la Direzione Generale del Ministero della Sanità hanno impostato una nuova figura di presidio per l’accoglienza dei disabili: il Centro di Recupero Medico/sociale (oggi ex art.26).
Ci tornerà molte volte, a Capodarco, fra il 1970 e il 1971, insieme con i suoi giovani; anche per le vacanze di Natale e quelle di Pasqua, a realizzare il grande refettorio che oggi si affaccia sul mare.
Due i momenti di maggiore impatto:
1. la prima Assemblea comunitaria alla quale prende parte; il giovane prete vedeva per la prima volta un centinaio di invalidi tutti insieme, e ne ascoltava i molti interventi; ma essi non parlavano di disabilità, parlavano di emarginazione; e non si piangevano addosso ma volevano cambiare il mondo e i suoi paraggi, la società e le sue strutture inique, la Chiesa che aveva promesso tanto nel Concilio e che cominciava a non mantenere quello che aveva promesso;
2. la Messa delle mele marce, così la ricorderà. Era accaduto che un padre disperato per la nascita di un figlio focomelico lo aveva ucciso; nelle “Posta dei lettori” di un quotidiano romano qualcuno aveva scritto che la colpa era delle ostetriche che non avevano trovato subito, appena nato, il modo di far morire quel bambino, perché – scriveva quel lettore – “le mele marce vanno eliminate a tempo”. Parole che vennero lette nel corso di una Messa, dopo il vangelo; tutti erano obbligati a partecipare alla Messa, ma solo fino a quel momento: poi chi sapeva di non potere andare oltre usciva. Parole che produssero come un gelo, i disabili fissavano le loro gambe impotenti, i cosiddetti validi avevano la testa incassata fra le spalle. Parlò Marisa Galli, che già allora era come il concentrato del vero spirito comunitario: “Parlo nella mia qualità di mela marcia che non hanno fatto a tempo ad eliminare…” .
Capodarco gli appare come l’autentico “Monte Santo” che si erge sopra i disastri della mediocrità umana e cristiana, verso il cielo, forte della forza che Dio riserva agli umili.
Dopo la conversione: …solo piccoli particolari
La vita del giovane prete da allora sarebbe stata a senso unico. Interamente assorbita da quel mondo, dal tipo di società che in quella Comunità s’intravvedeva, da quel particolare tipo di Chiesa che quella Comunità prometteva.
La Chiesa che, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo, si chiede quando si può dire che una vita abbia avuto successo, di fronte a Dio? E risponde: quando la si è vissuta dando da mangiare agli affamati, dando da bere agli assetati, visitando i carcerati:… in un parola quando la si è spesa coinvolgendosi in massimo grado con i poveri, i dannati della terra, gli emarginati, gli esclusi del mondo. A cominciare da chi ti è più vicino. Ma allargandosi per cerchi concentrici all’infinito. Perché la vita è un bene intrinsecamente paradossale, che si realizza solo donandola; se non la doni la sprechi, se tenti di spremerla solo a tuo vantaggio la inaridisci, e non ce ne hai disposizione un’altra; questo è il contenuto, concreto e sempre attuale, del possente gesto minaccioso del Cristo che campeggia nel Giudizio Universale di Michelangelo.
E la sera prima di morire, quando si rese conto che i suoi non ci avevano capito un tubo, quasi preso dalla disperazione si mise una parananza intorno ai fianchi e lavò i piedi dei Discepoli, incrostati di polvere e di cacca di animali, e a Pietro che resisteva minacciò l’impossibile, e disse a tutt’e dodici che quello sarebbe stato il loro lavoro di ogni giorno, e Giovanni che racconta il fatto lo fa premettendogli una di quelle introduzioni che si usano solo all’inizio di eventi di capitale importanza.
La Chiesa di Papa Giovanni, settembre 1962: da oggi la Chiesa sarà la chiesa di tutti e soprattutto la Chiesa dei poveri.
Tradotto in soldoni: Una Chiesa che non si fa carico degli ultimi non è la Chiesa di Cristo, è solo una congrega di buontemponi.
1971 Don Angelo allenta progressivamente i rapporti con il Movimento Studenti Eugubino, che si estinguerà per consunzione, e va a vivere, con il consenso del Vescovo Diego Parodi, nella Comunità La Buona Novella di Fabriano.
A Fabriano
Dal 1971 al 1974 don Angelo vive a Fabriano la sua prima, fondante esperienza comunitaria. Al centro della città. In via Gentile 26. Alla loro comunità i ”Comunitari” di Fabriano danno il nome di “LA BUONA NOVELLA”, in esplicito riferimento alla risposta che Gesù dette agli inviati di Giovanni il Battista che gli avevano chiesto se era lui il Messia o dovevano aspettare qualcun altro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunciato il Vangelo (Mt 1, 4-6). Nella precedente traduzione al posto di Vangelo c’era LA BUONA NOVELLA. Un nome che oggi usano ancor le iniziative promosse dalla Caritas o comunque a carattere marcatamente e obbligatoriamente religioso; magari puntano tutto sulla “bella esperienza” che fanno i giovani volontari, magari fanno poco o niente per coloro che accolgono, limitandosi a “custodirli”: “magari” … . Poi però hanno sempre nomi biblici altisonanti: in Umbria, Shekinàh a Gubbio, Il meraviglioso germoglio a Foligno, …………………. a Sanfatucchio; Capodarco a volte ci ha provato, come a Domodossola, dove, sullo slancio del rifiuto di accoglienza alle prime tre coppie di Capodarco da parte di un albergo del luogo, nacque nel 1970 la Comunità la Forza d’Amare: a freza d’amar litigarono di brutto, si msero le dita negli occhi, provocarono un frastuono quale non si sentiva dai tempi della Repubblica dell’Ossola…
Ne La buona Novella don Angelo rivela per intero la sua grande carica ideale; ma rivela anche una stupefacente goffaggine sentimentale e una scarsissima attenzione al territorio dove la sua comunità vive.
Grazie alla carica ideale che lo anima non gli pesa fare avanti e indietro con Gubbio (34 km. da Fabriano) tutti i giorni, o anche due volte al giorno, quando si riunisce la redazione de Il Buratto; dice Messa all’alba, sulla tomba di S. Romualdo, nella Chiesa di S. Biagio, 50 mt dalla Comunità; poi parte a bordo di una Fiat 124 con due bombole di metano (un pieno = mille lire) fissate al tetto della vettura; da Fossato non punta su Gubbio, ma devia per Gualdo, dove preleva un paio di suoi alunni del Liceo Mazzatinti, non per amor di Dio ma per averne qualche soldino.
Grazie alla sua carica ideale, ogni pomeriggio insegna di tutto, tranne le materie scientifiche, ai disabili venuti da Capodarco a Fabriano per poter riprendere gli studi che per la loro situazione fisica hanno dovuto interrompere: daranno tutti gli esami di stato, tutti con esito positivo; un paio d’ore prima di cena gli studi si interrompono, e …si lavora: per conto di una piccola ditta locale, vengono selezionate le pelli di risulta della loro lavorazione.

Stavolta lui non c’è, (ma è un caso) intorno al grande tavolo dove vengono selezionate le pelli di risulta. Ci sono: al centro, M. Assunta Marini; a destra il volontario Mario di Montecarotto, M. Teresa Colombaro, Paolo Concer, Antonio Scalas; di spalle, Silvana Panza; a sinistra Rosa Catapano, Giuliano Pardini (che pure non muove nemmeno in muscolo), Isabella Tancini, Clara Fazi; s’intravvede la chioma lussureggiante del più generoso di tutti i volontari, Ercole Posa.
Grazie alla sua carica ideale le iniziative della Comunità si moltiplicano: dai contatti assidui con le scuole alla raccolta carta, stracci e ferro vecchio, che nessuno aveva fatto prima a Fabriano, e che produce una tale massa di materiale che ci vorranno molti giorni per selezionarla e smaltirla; viene organizzata anche una mostra di pittura morta sul nascere. Non ha un minuto di tempo libero. Pare che il mondo dipenda da lui.
Grazie alla sua goffaggine sentimentale non si rende conto delle tempeste che su quel piano il suo comportamento suscita. La presenza femminile a Fabriano è nettamente maggioritaria. Le ragazze disabili sono …belline.

Quella a sinistra è Antonietta Botta, paraplegica senza trauma: le sue gambe si sono immobilizzate non per una caduta in palestra, o per qualcos’altro di simile, no: era durante un compito in classe, quando frequentava le scuole medie, che avvertì una specie di pruruto; contrariamente a molti degli altri “ricoverati”, ha alle spalle, a Rignano Garganico (un passo da S. Giovanni Rotondo) una straordinaria famiglia che l’ha accolta con il massimo affetto. Poi però è arrivato anche il momento di spiccare il volo per altri lidi, Capodarco prima e Fabriano poi, per finire gli studi amatissimi.
La scarsezza della sua attenzione al territorio sul quale la Comunità insiste, la sua non chalance nei confronti di Fabriano è pressoché totale, se si eccettuano le momentanee apparizioni nelle scuole e l’assidua e gratuita presenza in comunità di docenti di grande preparazione e umanità, prime fra tutti le prof. Romaldoni, Bruschi e Profili.

Ma la vita interna è molto intensa, anche a carnevale. Si riconoscono da destra Isabella Tancini, zingara nata, Antonietta Botta e Polo Concer truccato da vittima di un pirata della strada. Lo scemo che, in fondo fa le corna e le redulica è un occasionale
La grave disattenzione di don Angelo al territorio si fa drammatica in alcuni casi.
A Fabriano il Partito Comunista è tenuto a bada, forse anche demonizzato, e lui e i suoi accolgono in Comunità l’intero staff della Gioventù Comunista, con Emilio Berionni in testa …: nella città dei Merloni!
Il mitissimo Vescovo Macario Tinti lo ferma per strada e gli dice: “Mi venga a trovare!”, e lui gli risponde: “Venga piuttosto lei da noi, perché Lei è il servo e noi siamo i suoi padroni”. È chiaro che il clero di Fabriano (col Vescovo c’era il suo segretario) non andrà in sollucchero per episodi del genere.
Certo, la Comunità da subito è una realtà di enorme positività. Gli handicappati non sono parcheggiati in una cosa, non sono soggetti passivi, ma il più delle volte rovesciano quelli che nella vita sono i normali rapporti, diventando protagonisti della liberazione di altri.
Piccole enormità, quelle di don Angelo, che si spiegano con il crescente consenso che gli viene da Gubbio. Egli sente crescere enormemente intorno a sé la stima della sua gente, in mille modi e in mille circostanze diverse, ben al di là dei molti giovani studenti eugubini che ogni estate sono lì per portare avanti sempre ulteriori lavori di riattamento della casa. La sua innata vanità, appena coperta da un sottile stato di non chalance, ne viene “allisciata”.
Gli Eugubini che fanno visita a “La Buona Novella” di Fabriano auspicano insistentemente che Capodarco apra anche a Gubbio una sua comunità.

Isabella e P.; Isabella è in carrozzina, P. no; ma gli enormi problemi di P. trovano in Isabella chi li accoglie, li fa propri, s’ingegna a uscirne insieme con lei. Quando diciamo che “L’handicappato non sempre è un problema, ma può anche essere una risorsa, non stiamo filosofando: abbiamo in mente una serie di cose accadute, di casi specifici…
A Gubbio
E comincia quasi un …pellegrinaggio di amici da Gubbio a Fabriano, che auspicano l’apertura di una comunità di Gubbio.
L’auspicio della nascita di una Comunità di Capodarco a Gubbio diventa realtà nel 1974, con la nascita sul monte Ansciano del Centro Lavoro Cultura, più nota con il nome di “Comunità di San Girolamo”; nel 1984 esso si costituirà giuridicamente in Associazione e per 13 anni la carica di presidente sarà sempre ricoperta da un disabile, ufficialmente un “assistito”. Tornato come residenza a Gubbio, don Angelo si presta a tutti i servizi pastorali che i Confratelli gli richiedono.
Ricopre anche un incarico ecclesiale particolarmente prestigioso: nel 1976, per volontà del Vescovo Pagani, è uno dei due membri della Delegazione Eugubina presente a Roma per il I Convegno delle Chiese Italiane, sul tema Evangelizzazione e promozione umana. L’altro rappresentante della Diocesi di Gubbio è il Prof. Giancarlo Pellegrini; per ambedue quell’esperienza è stata esaltante, ma il suo effetto sulla Chiesa italiana durerà troppo poco.
Di grande qualità gli undici anni della Presidenza di Francesca Bondì, affiancata dalla saggezza accumulata da Clara Fazi nella sua lunga esperienza comunitaria (prima a Capodarco, poi a Fabriano, poi a Gubbio) e dalla grande competenza professionale di Sandro Lombardini.
Nel 1998 il Centro Lavoro Cultura assumerà il nome di Comunità di Capodarco dell’Umbria e don Angelo verrà eletto per la prima volta Presidente: lo è tuttora (2010). Il nome Centro Lavoro Cultura sta a dire che lo scopo specifico di questa comunità locale di Capodarco è quello di trasformare in messaggio culturale, in provocazione, in circolazione mediatica, tutto quanto viene realizzato nelle varie comunità di Capodarco sparse in Italia e all’estero.
1982. Fa parte del Consiglio del CNCA, il neonato Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, presieduto prima (i primi 10 anni) da don Luigi Ciotti e poi (dal 1992 al 2002) da don Vinicio Albanesi.
1984: sono occorsi 10 anni per portare a termine i lavori a S. Girolamo e si comincia a parlare di gruppi che dovrebbero decentrarsi sul territorio.
Il primo a partire è il gruppo di Via Gabrielli 25, dove vivono la famiglia Cacciamani (Daniele, Angela e i due figlioletti Gabriele e Mattia), Clara Fazzi, Paolo Maranzano e Daniela Cecchetti, di Pietralunga: la disseppellimmo (“Ho fame, ho tete, ho tonno”) per qualche anno dall’isolamento in cui viveva, realizzò non pochi passi in avanti, ma quando l’USL divenne ASL venne riseppellita nell’antica “tomba di famiglia”: sapete, a volte la famiglia per un disabile è l’esatto equivalente di una tomba. Il secondo è quello di Giuseppe Cederna, Roberto Giuliattini, Giovanni De Florio e Pierluigi Minorini, in località Col di Molino (sotto Colonnata), con un’intensa attività di agricoltura biologica.
1985: appena laureata in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti, arriva a S. Girolamo Antonietta Botta; l’accolgono con grande calore i molti bambini che in quel momento vivono in Comunità, a cominciare dai tre figli di Salvina e dai tre figli di “Nicotina”; non altrettanto calorosa è l’accoglienza di una parte della Comunità, ma presto “la Dottoressa”, che si specializzerà anche (sempre con il massimo dei voti) in Igiene e Medicina Preventiva, diventerà il leader indiscusso della Comunità.
Tra il 1986 e il 1992 sarà anche il leader del gruppo residenziale che si installerà nella casa canonica di Padule, dove don Angelo ha accettato di diventare parroco.
1987-96. Varie libere docenze, sia all’Istituto Teologico di Assisi che all’Istituto “Ecclesia Mater” della Facoltà di Teologia dell’Università del Laterano, sempre sul tema del rapporto tra Chiesa e poveri, in sede storica e in sede teologica. Risultati del tutto deludenti: nemmeno un giovane, uno che è uno, prende a fuoco
1992 lascia la parrocchia di Padule e si trasferisce in Via Elba 47, a S. Marco, nel Gruppo Famiglia Pierfrancesco, in vista della progettazione e della realizzazione della SUEOC, quella Scuola Universitaria Europea per Operatori di Condivisione che, in due diverse tranches (1994 e 1997-98) formerà una nutrita schiera di bravi operatori sociali.
1994. Il Vescovo Bottaccioli lo sceglie come uno dei Moderatori al Sinodo Diocesano.
1995. Fa parte della Delegazione Eugubina presente al III Convegno delle Chiese Italiane, a Palermo, su La Chiesa per una nuova società in Italia.
1996: muoiono a distanza di pochi mesi l’una dall’altra due figure centrali nella Comunità di S. Girolamo, Ida Filipponi e Doretto Aquino. E per la Comunità di S. Girolamo è notte buia.
Sotto la guida del parroco dell’Unità Pastorale S. Giovanni – S. Pietro, don Mauro Salciarini, celebra Messa per 10 anni nella Chiesa di S. Pietro.
Colui che ha fatto il grosso del lavoro è stato Roberto Giuliattini, aretino tornato dalla sue parti dopo aver lasciato un segno profondo in Comunità.
1999-2009. Viene assorbito da protagonista dal Progetto Operatore di Condivisione: un peso economico eccessivo per la comunità, che pure ha questo tipo di formazione fra i suoi obiettivi qualificanti, per il quale viene a Gubbio la LUMSA; don Angelo insegna Teologia II, naturalmente sui rapporti fra Chiesa e poveri.
Sono anni in cui il Vescovo Ceccobelli gli manifesta la sua benevolenza invitandolo a tenere per un anno intero la meditazione ai suoi confratelli nel Ritiro Mensile del Clero.
E altrettanto fanno i Conventuali di S. Francesco, invitandolo a predicare la Novena dell’Immacolata, invito che a memoria d’uomo non era mai stato fatto ad un prete diocesano.
2007: viene nominato Rettore della Chiesa di S. Maria dei Servi a Corso Garibaldi, senza però che debba interessarsi del Cinema Astra e di due immobili che, su Corso Garibaldi, appartengono all’Ente Collegiata di S. Cristina, al quale appartiene anche la Chiesa.
S’impegna a fondo, con Tonino Lanuti e Angelo e Dora Fiorucci, nell’Associazione informatica IL GIBBO.