Angelo Maria Fanucci

Don Angelo Maria Fanucci
Nato a Scheggia e Pscelupo nel 1938, sacerdote della Diocesi di Gubbio, Presidente della Comunità di Capodarco dell’Umbria che si è chiamata inizialmente Comunità di San Girolamo, poi Centro Lavoro Cultura; Presidente “in sonno” come dicono i Massoni, perché dal 2013 la comunità è stata commissariata nelle mani di un Amministratore Unico, dopo che la presidenza di Don Angelo aveva causato uno spaventoso “buco” economico; l’Assemblea della comunità ha eletto come Amministratore Unico, il presidente nazionale della Comunità di Capodarco, Don Vinicio Albanesi, che come “aiutanti” si è scelto due egregi… chirurghi locali, l’Avvocato Mario Monacelli e il Presidente Ennio Palazzari: insieme, i tre hanno riportato la C.d.C.d.U. in linea di galleggiamento.

Pur essendo nato a Scheggia, nel cuneo di Umbria che s’infila tra le province di Pesaro e di Ancona, si sente eugubino fino in fondo.
Ama visceralmente questa sua città. Visceralmente. Soprattutto per questo disse di no quando, agli inizi del suo percorso sacerdotale, gli venne proposto di trasferirsi al Laterano per una (poco probabile) carriera universitaria. Visceralmente.

Come il Chico Mancini, eccellente Maestro di Arte Ceramica, che, quando dietro consiglio di tanti amici, accettò un lavoro a Padule (5 km. da Gubbio), nel settore del PVC, resse il trauma della… lontananza solo per pochi giorni, e poi si licenziò, bestemmiando: Vo’ e tutti quelli che m’hanno mandato a lavora’ a l’estero.

Appartiene ad uno dei Presbiterî più numericamente esigui d’Italia, ma ne è orgoglioso per la caratura morale e spirituale dei suoi confratelli, che spesso considera autentici Maestri, con quella loro tetragona fedeltà alla gente cui il Signore li ha affidati. Don Bruno Pauselli, Papa e re del Buranese da 55 anni. Don Fausto Panfili che se n’è fatti oltre 40 a Cantiano. Don Benito Cattaneo, parroco di Branca fin dalla notte dei tempi, ci ha confidato: “Io non l’ho mai detto… ma in fondo ho sempre pensato che Gesù Cristo è morto solo per quelli della Branca”.

Da giovane, Angelo giocava benino a pallone (nel 1959 era mediano di spinta nella squadra dei Seminari di Roma, che affrontò e batté la squadra delle Università di Roma, in una delle prime partite giocate allo Stadio Flaminio, allora nuovo di zecca, ora in disarmo). Giocava benino anche a tresette (una sera, a S. Martino, nel bar di Sorbolone, in coppia col Panìco, infilzò una dozzina di coppie avversarie). Se la cavava benino anche con l’organo, ma gli ci volle una settimana per entrare in confidenza con l’organo di S. Andrea della Valle a Corso Vittorio, in vista di una delle Serate di Preghiera dell’Ottavario per l’Unità dei Cristiani nel 1960. Suonava anche il bombardino, nella Banda del Seminario Romano Maggiore del Laterano.

Benino. Faceva tante cose “benino”, anche il prete. Tante cose “benino”, nessuna bene fino in fondo. Mamma Maddalena avrebbe voluto solo che diventasse un buon prete.

Passa per un progressista, in realtà è un conservatore; a questo proposito amerebbe sentirsi definire (si licet magna componere parvis) come oggi definiscono Dante Alighieri: un conservatore intelligente. Ha servito (da lontano) la Chiesa Santa di Dio che è nel Mondo sotto cinque Papi (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco), ma il suo papa è rimasto solo lui, Giovanni XXIII; ha servito (da vicino) la Chiesa Santa di Dio che è in Gubbio sotto sei Vescovi (Ubaldi, Parodi, Pagani, Antonelli, Bottaccioli e Ceccobelli), ma il suo vescovo è rimasto solo lui, Beniamino Ubaldi. Ha partecipato ad un’infinità di assemblee: in realtà l’unica che per lui ha contato è stata quella del Concilio.
Dice don Franco Monterubbianesi: Noi preti delle comunità di accoglienza nate sulla scia del Concilio apparteniamo alla Chiesa dall’angolazione del Regno di Dio. In proposito lui, su una delle ultime Abat Jour, la sua rubrichetta di 30 righe che La Voce (il settimanale delle Chiese umbre) pubblica dal 1978, ha preso posizione circa i tre interrogativi che, secondo il sociologo Luca Diotallevi, le Chiese Umbre dovrebbero porsi, per uscire dal “Devozionismo protetto” di cui soffrono. Ha scritto don Angelo: Io a quei tre interrogativi ne aggiungerei un quarto. Esso però ha senso solo in chi, pregiudizialmente, recupera la distinzione conciliare fra Chiesa e Regno di Dio. Il fine della storia non è la Chiesa, ma il Regno di Dio. Nella traiettoria che porta al Regno di Dio la Chiesa ha un ruolo indispensabile (Extra Ecclesia nulla salus), ma questo ruolo non fa della Chiesa l’obiettivo autoreferenziale e unico dell’impegno dei cristiani nella storia.
Eccolo, il quarto interrogativo: le nostre Chiese umbre hanno assimilato quel senso dell’autonomia delle realtà terrene della quale la Gaudium et spes ha fatto una delle colonne portanti del Cattolicesimo del nostro tempo? Cfr. il n. 36, la cui portata viene poi dilatata alla cultura (IV, 56 e 59), alla scienza e all’arte (IV, 36 e 59), alla famiglia (IX 11c, IV 20a, 36a, 41b, 68a, 75h). È rimasta viva e operante nella nostra prassi la convinzione/base della Gaudium et spes, che cioè tutto quello che di buono germoglia nella storia fiorisce poi nell’eternità? Anche quando storicamente quel qualcosa di buono è nato non solo OLTRE, ma CONTRO la Chiesa. Come lo Stato Democratico, che fieramente avversammo, e oggi sentiamo “nostro”, e lo Stato sociale, che troppo tiepidamente accogliemmo: eppure lo Stato Sociale è un vertice assoluto di civiltà. Obama docet, Trump ancora di più, evidentemente per contrasto.
Ebbene, oggi è in forse non solo e non tanto lo Stato sociale, che in tempo di vacche magre de more viene rinsecchito a mo’ di stoccafisso, ma lo Stato democratico. Ne vengono messe in forse le regole fondamentali. Vacilla il garantismo secondo il quale i Tre Poteri (Deliberativo, Esecutivo e Giudiziario) non solo possono, ma debbono controllarsi a vicenda. Quella dei “giudici talebani” può anche essere un battuta. Ma di fatto era scomparsa da quando Mussolini aveva dovuto rimangiarsi la promessa di fare di Montecitorio (Quest’aula sorda e cieca!) un bivacco per i suoi manipoli.

E in questo ambito pone alla sua amatissima Chiesa degli interrogativi stringenti, che però sembra non interessino nessuno:

Óscar Romero• come mai abbiamo canonizzato in quattro e qattr’otto Escrivà de Balaguer, il Fondatore dell’Opus Dei, e non ancora Oscar Arnulfo Romeo, ex curiale, ex servo obbediente delle oligarchie del suo paese, convertito ai poveri quando nel 1974 divenne arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador; fu ammazzato come un cane, il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la Messa, da un cecchino che gli tranciò la vena giugulare nel momento in cui innalzava verso il cielo l’Ostia Consacrata; nell’omelia aveva sparato senza armi, ma ad alzo zero, contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni.

 

Paolo Borsellino• come mai, tra i Santi, i laici esemplari sono tanto pochi, rispetto a sacerdoti e religiosi, e religiose? Quando ci decideremo a mettere sull’altare i Santi Laici dell’Impegno Civile; di Paolo Borsellino sua moglie Agnese ha testimoniato che, subito dopo l’assassinio del suo collega Falcone, egli per un mese uscì sempre alla stessa ora, per andare a prendere il caffè nello stesso bar e acquistare il giornale alla stessa edicola: sperava che la Mafia lo uccidesse una di quelle mattine; avrebbe così evitato quella che accadde il 19 luglio 1992: la strage dei suoi cinque “angeli”, i poliziotti che lo scortavano giorno e notte;

 

Alzeimer• nella logica della Evangelizatio per res non sarebbe estremamente opportuno che le centinaia di case canoniche che in Umbria non verranno occupate da un prete per i prossimi cento anni fossero adibite ad accoglienze diurne leggere: malati di Alzheimer, ad esempio, quelli non aggressivi, tramite una convenzione leggera con l’ente pubblico.

“Parole, non sono altro che parole” cantava Mina nella notte dei tempi.
Pallini, non son altro che pallini. Se il cavalierato non lo si nega a nessuno, ad un vecchio non si può negare il diritto a giocherellare con i suoi innocui pallini.

N.B. Ha scritto, qui sopra: come mai ABBIAMO CANONIZZATO. E da quando in qua i santi non li fa più il Papa, ma (che so io?) un’assemblea spontanea di preti di provincia?
Don Angelo protesta la sua totale fedeltà al Papa, come ad un fratello maggiore, al quale il Signore ha affidato il timone della sua barca, perché la guidi autorevolmente e saggiamente.
Ma questa fedeltà aborrisce dal servilismo di chi ad ogni sternuto del papa esclama: “Oh! Che bello!!”; è un fedeltà seria, non come quella del Marchese del Grillo, quando l’usanza era quella di baciare la pantofola del Papa: una fedeltà adulta, assoluta ma anche critica,
Una fedeltà che è all’insegna di due motti famosi di S. Agostino:
1. Vobiscum christianus, pro vobis episcopus sum: con voi sono cristiano, per voi sono vescovo; tradotto: con voi sono cristiano per voi sono papa. .
2. In necessariis unitas, in dubiis libertas, un omnibus charitas: nelle cose essenziali dobbiamo essere uniti, in quelle opinabili dobbiamo sentirci liberi, sempre e comunque dobbiamo agire con cristiana carità.
Per questo, come tanti altri bravi cattolici, anche don Angelo prova un certo fastidio per l’imperante papismo mediatico: nei raffazzonati réportages dei mass media dalla Chiesa Cattolica, l’unico attore della sua vita ricca e articolata sembra il Papa, a meno che si facciano avanti Padre Pio o Medjugorie; e questo in sé era ed è una grossa stortura, ma da parte dei mass media, fino al 2004, era comprensibile “regnava” Papa Giovanni Paolo II, che aveva tutte le qualità per “bucare” il piccolo schermo, ma non è stato comprensibile negli anni in cui pontificò Benedetto XVI, che di quelle qualità non ne aveva nessuna.
Ci auguriamo che non accada nemmeno con Papa Francesco, che non merita davvero di essere caricato di una stortura del genere.
Quanto a quell’ABBIAMO CANONIZZATO, è chiaro che i Santi li fa il Papa, in base al suo personale carisma, su questo non ci piove. Ma come sempre, quel carisma è in presa diretta con la coscienza di tutta la Chiesa. E la Chiesa di oggi, dopo le batoste mortali rifilate dalla Santa Sede alla Teologia della Liberazione, solo in parte giustificate, gradisce molto di più i Santi del taglio di S. Josemaria Escrivà de Balaguer che non quelli come Oscar Arnulfo Romero.