Ceraiolo

Pur essendo nato a Scheggia, si sente Eugubino fino in fondo e ci tiene che venga riconosciuto Ceraiolo Militante del Cero di S. Antonio, anche se ormai le gambe fanno giacomo/giacomo, come quelle (secoli fa) dei Francesi reduci dal Pellegrinaggio a Santiago de Compostela, che arrivavano morti di fatica e con due file di conchiglie sul davanti del mantello che, sbattendo l’una contro l’altra, sembrava dicessero.”Jacques, Jacques!”.

1962: un esordio ceraiolo del tutto casuale.
Dopo molti anni di assenza, don Angelo si gustava la corsa del “suo” S. Antonio in Corso Garibaldi, davanti alla Casa di ”Socrate” Manuali. All’improvviso successe …qualcosa: il Cero prese a pendere proprio dalla sua parte; si sa che, una volta superata una certa angolazione, il “chioppo” disastroso diventa inevitabile.
Un attimo e don Angelo si trovò “a punta davanti” del Cero, che torno in posizione verticale e proseguì. E il “chioppo” venne evitato.
Ma il giovane prete, che indossava ancora la talare, non conosceva nemmeno i rudimenti della tecnica necessaria per entrare nella maniera giusta sotto il Cero: entrò malamente, la stanga a metà strada tra la spalla e il collo. La plastica del colletto d’ordinanza si spezzò e un frammento gli si conficcò nel collo, ma lui non se ne accorse. Perse del sangue, forse anche abbondante, ma non lui se ne accorse. Riprese conoscenza quando un gruppo di Santantoniari gli si stringe intorno: chi lo baciava, chi gli stringeva la mano (e fa’ piano per favore!!), chi gli strizzava il ganascino.

Il momento “clou” della sua carriera di ceraiolo fu la caduta (il “chioppo”) durante la seconda delle tre birate della sera, anno del Signore 1971.
Faceva parte della “muta dei Colonnelli”: Elvezio, Nello Rossetto, il compianto Lanfranco Marcelli…
Che chioppo! Poi discussioni infinite: di chi è stata la colpa?
Don Angelo documentò la sua totale innocenza. Ma a che è servito?
Rimane solo l’infinita amarezza di quell’urlo della gente che ha sottolineato il “chioppo”.
E tu che ti rialzi e col tuo braccere stringi i pugni, vorresti trovare subito qualcuno da picchiare. Tanto più che s’è spara la voce: “A fa’ cade’ S. Antonio è stato ‘n prete, che ci aveva come braccere ‘na ragazza de la Branca”. Era Piero Biraschi, fotografo, allievo dalla notte dei tempi, amico per i secoli dei secoli, ma poco credibile come Brancaiolo e (anche di meno) come ragazza.
E lo sfottò di Franco “Magnacase” Monacelli, la cui ditta proprio in quel 1971 ha realizzato la mattonatura di Piazza Grande, che prima era in tera battuta. Effettivamente nel “chioppo” don Angelo, ceppo destro di dietro, rimase sotto il Cero con la stanga sulla schiena e la fronte sbattuta malamente a terra…

Ma dal 1962 al 1982, per 20 anni di fila, ha preso in spalla il Cero di S. Antonio in quasi tutte le postazioni dove è prevista una “muta” pronta a fare il suo tratto di corsa. Cappellano della Famiglia dei Santantoniari fin dai suoi inizi.

Ma nel 1987 viene ignobilmente battuto nella “gara” per diventare Cappellano dei Ceri; ne aveva diritto più di ogni altro confratello, ma era nato a 12 kilometri da Gubbio e non intra moenia. Reagirà all’ingiustizia assentandosi per i classici 7 anni dalla grande Festa del 15 Maggio, per recarsi a Fabriano: una specie di autopunizione (a Gubbio si dice: “Quel tale è talmente stupido che il giorno dei Ceri va a Fabriano”).

Militante perchè, pur approvando di gran cuore la nascita delle Famiglie Ceraiole (fra l’altro fu tra coloro che allestirono la Primissima sede della Taverna di S. Antonio, in Via Piccotti, nei semi/sotterranei dell’allora sede della Casa di Risparmio di Perugia, insieme a tanti altri Ceraioli, ai quali va la sua deferenza sincera e il suo affetto profondo), intende impegnarsi:
in negativo ad arginare gli snaturamenti che la nascita delle famiglie, in sé grandemente positiva, ha comportato:
– LO SNATURAMENTO DELLA FESTA A CORSA. La Corsa è una Parte della Festa, e non viceversa;
– l’ENORME E RIDICOLA ENFATIZZAZIONE DELLA FIGURA DEL CAPODIECI, con le relative baruffe al tempo della sua elezione;
in positivo, insieme ai presbiteri confratelli, a rivitalizzare all’interno dei Ceri la devozione autentica a S.Ubaldo.

CERAIOLO, la dolce follia di quel giorno. E poi incontri, canti, balli, magnate, chiacchiere al bar, chiacchiere in televisione. L’attesa, il preattesa, il postattesa. Incazzature assortite. Proposte, controproposte, litigate. Il giro del giardino, cazzotti minacciati, cazzotti arrivati a destinazione.
E poi l’emozione intensa il giorno in cui il Senato del tuo Cero ti assegna, come massimo riconoscimento, la cavja, e cioè (in formato ovviamente ridotto) la bara di ferro che tiene agganciato il Cero alla barella: quella che, in piedi tra le stanghe superiori della barella, il Capodieci, un attimo prima dell’Alzata, “purifica” con l’acqua lustrale che esce dalla sua brocca.
Ma …ci ricordiamo che all’inizio e alla fine di tutto c’è lui, S.Ubaldo?
Un santo non è un pezzo da museo. Forse lo è altrove, non a Gubbio. A Gubbio S. Ubaldo è vivo. E non s’accontenta di concerti, giornate di studio sul portale della sua Basilica, discussioni se il suo cognome era veramente Baldassini oppure no.
E’ vivo e ci chiede di aiutarlo a produrre ancora vita.
E perché continui a produrre vita, soprattutto a vantaggio dei più poveri, le somme inviate dagli Eugubini a Ibarra, in Ecuador, hanno bonificato i 62.000 mq del vecchio Parque Yuyucocha in disarmo, trasformandolo in un giardino al’inglese, con campi da tennis e da basket, con piscina e laghetto par la pesca; lo gestiscono i tanti ragazzetti che da Bambini la Fundaciòn Cristo de la Calle ha salvato da situazioni pesantissime, MORTALI.
E a nome suo che è stato fatto tutto questo, come recita la scrItta sull’ingresso del parco diventato CENTRO SOCIAL SAN UBALDO.